Fare Fundraising sui social: quanto tempo serve?

Il tempo che una nonprofit può investire in mobile e social media dipende dalla sua grandezza: le piccole associazioni che non hanno la possibilità di assumere un manager dedicato dovranno per forza di cose limitare la loro attività a uno o due social network, dando la priorità alla comunicazione del proprio fundraising al sito web e all’email marketing. I social media sono strumenti ad alto potenziale ma, allo stesso tempo, ad alto consumo di tempo, pertanto se le ore dedicate sono poche i canali online “tradizionali” garantiscono un ritorno maggiore.
Nel caso in cui la piccola associazione decidesse di suddividere gli sforzi tra più persone di uno stesso team è necessaria una guida comune e un costante allineamento di tutti i membri del team, per fare in modo che ogni social sia allineato con gli altri. Inoltre lo staff dovrà essere correttamente formato e informato sulle pratiche di comunicazione per il social che andrà a gestire.

Le associazioni più grandi possono considerare l’idea di utilizzare le competentenze di un social media manager esterno per la gestione dei social media, mentre le grandi associazioni potranno inserire al proprio interno una o più figure professionali dedicate a questo importante canale di comunicazione.

Ma perché la gestione dei social network richiede un così alto investimento di tempo e denaro? Cerchiamo di dare nel seguito una stima del tempo minimo (settimanale) da dover spendere per gestire questo tipo di comunicazione:

Blog: 6 ore a settimana, il tempo minimo per poter trovare idee, scrivere, integrare foto e video. Numero di post realizzati? Due.
Facebook: 4 ore a settimana, tempo minimo per la pianificazione di 4-6 post, rispondere ai commenti degli utenti e controllare le statistiche
Twitter: 5 ore a settimana, tempo minimo per inserire 4 tweet/retweet al giorno, per rispondere ai messaggi e alle citazioni, organizzare le liste di follower e trovare nuovi follower “strategici”
Google+: 3 ore a settimana, tempo minimo necessario per pubblicare 4-6 aggiornamenti e interagine nelle cerchie di Google+
Linkedin: 2 ore a settimana, tempo minimo necessario per inserire 2-3 post, aggiornare il profilo e partecipare alle discussioni sui gruppi
Youtube: 1 ora a settimana, tempo minimo necessario per caricare video, iscriversi ad altri canali e studiare le campagne video di altre nonprofit.

La lista potrebbe proseguire con altri post, che al momento in Italia hanno un uso più limitato, come Pinterest e Instagram.

Da non dimenticare che alla fase di produzione contenuti e gestione devono essere necessariamente affiancate fasi di pianificazione e studio della comunicazione, creazione di grafiche e video, analisi dell’andamento delle campagne e dei risultati ottenuti.

Ancora convito di non aver bisogno di un Social Media Manager per ottenere il massimo dalle tue campagna di Fundraising?

Raccolta fondi e Web 3.0

Internet oramai fa parte della quotidianità, siamo talmente abituati ad avere una connessione che quasi non ci rendiamo conto del tempo passato e di quante cose utili riusciamo a fare grazie alla rete.
Le statistiche parlano di 20 milioni di italiani, tra i 18 e i 64 anni, che ogni giorno utilizzano “il web”, la maggior parte di questi (circa l’80%) utilizza un dispositivo mobile.

Questi pochi dati ci lasciano capire quanti opportunità la rete potrebbe concedere alla nostra raccolta fondi, basti pensare che lo scorso anno l’83% degli utenti ha effettuato almeno una donazione online!

Una riflessioni in questo caso ì obbligatoria: sono molto più interessati gli utenti a donare che le associazioni a ricevere! Chiaramente si tratta di una frase provocatoria, ma purtroppo non lontana dalla realtà: gli utenti si trovano infatti davanti siti web mal costruiti, con bottoni per donazioni online (quando previsti) poco visibili, scarni di contenuti e di informazioni sulle cause e i progetti da sostenere, senza considerare la compatibilità con i principali dispositivi mobili.

Cerchiamo quindi di capire meglio i passi fondamentali di una corretta pianificazione strategia per la raccolta fonti tramite web:

1. Piano di comunicazione: come ogni strategia di marketing, il digital fundraising prevede un’importante fase di pianificazione della comunicazione, durante la quale verrà deciso cosa verrà comunicato, come avverrà la comunicazione, come personalizzare la comunicazione in base al target, come differenziare la comunicazione in base al canale, e così via.
2. Sito web: la tendenza delle associazioni di avere un sito auto-prodotto non è totalmente sbagliata, ha il vantaggio di ridurre i costi di realizzazione e gestione; ma in ogni caso il sito deve seguire poche ma importantissime regole per poter trasmettere la giusta user experience ai navigatori e contenere le informazioni fondamentali necessarie a trasformare i navigatori in donatori. Importante dare visibilità a banner, link, sezioni dedicate alle donazioni!
3. Social network: il mondo di oggi sembra non poter fare a meno dei social network. E così deve essere anche per le associazioni che vogliono raggiungere e sensibilizzare quanti più utenti web possibile. Ma le stesse pagine social possono essere un’arma a doppio taglio: gli utenti liberi di scrivere i loro pensieri potrebbero esprimere critiche o malcontento nei confronti della vostra relazione: la gestione dei rapporti che si creano tramite questo canale sono una parte molto delicata, da gestire in modo corretto, senza censure di eventuali commenti negati.
4. Mobile e app: dai dati precedenti abbiamo visto che circa 16 milioni di italiani ogni giorno hanno accesso alla rete tramite dispositivo mobile. Inutile dire che oramai qualunque app, comprese quelle di messaggistica, utilizzano la rete, quindi questo dato è fortemente influenzato. Oltre alla (fondamentale) versione mobile del sito web, la raccolta fondi potrebbe essere affiancata da un qualche tipo di app che collega utilità o divertimento alla vostra causa (un esempio potrebbe essere Energizer Night Run per donare a Unicef)
5. Promozione: il miglior sito possibile, il più completo piano di comunicazione o la strategia social perfetta, non servono a niente se nessun utente riesce a trovarti su Google o sui Social. La promozione rappresenta quindi l’aspetto fondamentale per il successo del fundraising digitale, sia fatta tramite SEO, che tramite campagne AdWords (o meglio ancora Google Grants) o annunci sponsorizzati sui social network (che permettono una profilazione del proprio target)
6. Analisi e ROI: non ci stancheremo mai di dirlo “sul web tutto è tracciabile”, possiamo quindi capire i canali di provenienza dei dontori, quali sono sono i punti di forza o di debolezza della nostra strategia, apportare modifiche per migliorare l’esperienza utente, definire un “ROI” (ritorno sull’investimento) per capire il reale andamento della raccolta al netto delle spese di promozione, etc.

E tu, hai già pianificato la tua campagna di digital fundraising?

Fare peopleraising con LinkedIn

Quando parliamo di Social Network quasi sempre la mente corre a Facebook o Twitter, i più utilizzati. Linkedin forse è quello che viene meno associato all’idea dei Social, forse per il tipo di comunicazione più formale rispetto agli altri. In effetti Linkedin è una comunità di professionisti, con poco spazio per le “leve emozionali” molto utili in altri Social.

Ma le sorprese arrhttps://www.myfundraising.it/wp-content/uploads/2020/05/Single-Post_9-Featured_img.jpg sempre inaspettate. Forse non tutti sanno che Linkedin ha un’area dedicata alle non profit, nella quale è possibile inserire offerte di ricerca di volontari per la propria associazione. I passaggi da effettuare sono semplici

1. Crea la pagina della tua associazione
2. Incoraggi i tuo volotari a sostenere la tua causa e inserire nel loro profilo la loro esperienza di volontariato
3. Pubblica un annuncio di ricerca di volontari, sfruttanto la rete professionale di Linkedin

Degli oltre 300 milioni di utenti di Linkedin, l’82% ha espresso il proprio interesse per le attività di volontariato. Le offerte di ricerca di volontari possono essere visualizzate al seguente link.

Al momento non esistono statistiche per quanto riguarda gli utenti italiani, ma come tutte le opportunità offerte al non profit (tra cui ad esempio Google Grants) pensiamo sia il caso di fare almeno un tentativo per le future campagne di peopleraising.

Fundraiser, un’associazione su 5 non può farne a meno

No, non siamo autocelebrativi (almeno in questo caso ;)), riprendiamo questo articolo da una ricerca pubblicata su Vita sull’importanza del fundraiser all’interno delle associazioni.

In Italia sono circa 2000 i fundraiser di professione, con un’età media di 41 anni e una prevalenza femminile. Pur essendo un lavoro in cui raggiungere gli obiettivi è molto imporante, la maggior parte dei professionisti ha un fisso retributivo, mentre solo il 3% è pagato a provvigione.

Ma passiamo ai dati relativi alle associazioni: quasi il 20% delle non profit che hanno partecipato al censimento si affidano a un fundraiser, con picchi a Bolzano, in  Lombardia e in Emilia.

E tu ti sei già affidato ad un fundraiser? Ricorda che la raccolta fondi non deve essere pensata solo in caso di emergenza, ma deve essere uno strumento costantemente attivo. Per maggiori informazioni puoi contattarci.

Leggi l’articolo su Vita.it

“Raccogli Persone” per la tua associazione!

Pianificare, progettare e realizzare la migliore campagna di fundraising possibile non sempre è sufficiente per raggiungere i propri obiettivi. Soprattutto se manca la “materia prima”  per gestire tutte le attività necessarie.

I volontari, il “capitale umano” di ogni associazione, sono più importanti di qualunque finanziamento ottenuto, perché con il loro lavoro garantiscono lo svolgimento delle attività associative e, soprattutto, delle attività di raccolta fondi.

Spesso sentiamo lamentale sulla mancanza di volontari, sulla mancanza di valori o di impegno da parte della cittadinanza. Ma quante volte le associazioni danno a loro stesse la colpa della mancanza di volontari? Quasi mai!

I potenziali volontari sono ovunque, gli stessi donatori, che hanno già dimostrato la loro sensibilità, potrebbero diventare quella risorsa tanto importante quanto rara. Ma in quanti, oltre alla richiesta in denaro, chiedono anche un aiuto concreto di qualche ora? E questo è solo il primo passo.

Una campagna di peopleraising ha come obiettivo quello di attirare volontari all’interno dell’associazione e non può essere svolta solo saltuariamente! le persone hanno tempi di coinvolgimento differenti, i rapporti umani devono essere curati, i potenziali contrasti (presenti in qualsiasi gruppo di persone) devono essere appianati.. insomma, dimentichiamoci che il volontario una volta “catturato” si possa rinchiudere in una cassaforte e “usare” sono al momento del bisogno.

Infine non dobbiamo dimenticarci di chi vuol fare il volontario ma non lo sa! Quante persone hanno una grande voglia di aiutarci, ma noi ci dimentichiamo di “comunicare” con loro, di far conoscere le nostre associazioni, di far sapere quanto è facile e bello fare il volontario.

E tu, hai già iniziato a fare peopleraising? Se vuoi possiamo parlarne insieme, scrivici ora!

Sportello per donazioni “Donachiaro”: facciamo il punto

“Donachiaro” è un progetto dedicato a Organizzazioni Non Profit, Enti Pubblici e Privati che promuovono campagne di raccolta fondi a scopo sociale. Avvalendosi di uno sportello di digitale, permetto ai privati di effettuare una donazione per la raccolta fondi che preferiscono con varie modalità di donazioni, come ad esempio la possibilità di donare tramite “moneta elettronica”.

Pochi giorni fa sono usciti i dati statistici dell’ultimo trimestre del 2014, che riportiamo nel seguito.
Negli ultimi tre mesi dello scorso anno Donachiaro ha raccolto 28.175,85€ da 1.057 donatori. Molto interessanti i dati relativi a coloro che hanno effettuato una donazione tramite carta di credito: percentuale tre volte maggiore rispetto alle donazioni con carta effettuate online, così come la media delle donazioni (30€) è più elevata delle donazioni in contanti.
Lo sportello “Donachiaro” permette anche all’utente di inserire i propri dati (nome, cognome, indirizzo email) per rimanere in contatto con l’associazione: anche in questo caso le percentuali sono conforntati: quasi il 30% dei donatori ha lasciato i propri recapiti.

Nel 2015, inoltre, sono previste importanti novità, come dichiara il CEO di Itineris Italia Giacomo Tirillò “il 2015 è l’anno di Donachiaro 2.0: stiamo lavorando ad importanti sviluppi di funzionalità degli sportelli che presto consentiranno, tra l’altro, ai sostenitori delle Onp di impegnarsi alle donazioni ricorrenti, fidelizzandosi nel momento stesso della prima donazione”.

Per maggiori informazioni su “Donachiaro” http://www.donachiaro.com/

Grants: pubblicità (gratuita) per le ONLUS

L’impero Google è talmente vasto che molte delle possibilità che vengono offerte vengono ignorate dai più. Il programma Google Grants è tra le migliori opportunità che una ONLUS può trovare sul web.

In cosa consiste Google Grants?
Google offre la possibilità di fare pubblicità sulla propria rete di ricerca gratuitamente alle ONLUS. Il programma prevede la creazione di campagne Pay Per Click con le seguenti caratteristiche:

  • offerta massima per ogni chiave utilizzate 2$
  • budget massimo giornaliero 330$
  • budget massimo mensile 10.000$

Queste sono cifre di tutti rispetto per una normale campagna Pay Per Click, che spesso nemmeno normali aziende commerciali investono in questo genere di pubblicità. A conti fatti Google “regala” 120.000 dollari all’anno (l’equivalente di 105.000 €). E se vi sembrano ancora pochi, con il programma Grants Pro la spesa mensile può salire fino a 40.000$ al mese!

Chi può accedere al proramma Grants
Per poter richidere accesso al programma è necessario essere iscritto nel registro nazionale delle ONLUS, con alcune limitazioni. Non possono richiedere di partecipare a Grants:

  • Enti e organizzazioni governativi
  • Ospedali e gruppi medici
  • Scuole, centri per l’infanzia, istituti accademici e università
  • Partiti politici, organizzazioni politiche e lobby

Una volta presentata la domanda e la documentazione necessaria, non rimane che attendere il responso di Google.

Perché dovresti usare Grants per la tua associazione?
Per rispondere a questa domanda partiamo facendo qualche conto: ammesso che il costo per ogni clic sia effettivamente di 2 dollari (ma con le opportune ottimizzazioni questo costo potrebbe ridursi), con uno “spesa” di 120.000 dollari riusciresti a portare la bellezza di 60.000 utenti sulle pagine del tuo sito!

Il valore aggiunto di questi 60.000 utenti quale è, rispetto (ad esempio) alla distribuzione di 60.000 volantini? La differenza è che le persone raggiunte grazie al programma Grants (e alle campagne Pay Per Click in generale) sono profilate sulla base delle ricerche: il tuo annuncio, la tua associazione, la tua richiesta di donazioni vengono mostrate proprio a quegli utenti che in quel particolare momento sono interessati alla tua causa.

Quindi: (almeno) 60.000 potenziali donatori raggiunti, tutti profilati..non basta ancora? Bene, c’è un altro buonissimo motivo, che accomuna Grants a qualunque altro tipo di camapagna sul web, e si chiama “misurare“. Il pannello di Google Grants, integrato con le statistiche di Google Analytics di accesso al sito, garantiscono statistiche complete per poter tenere traccia dell’andamento effettivo della campagna: puoi sapere quante volte è stato visto il tuo annuncio, quanti click (visite) hai ricevuto, quali sono le ricerche effettuate dagli utenti, quali azioni hanno compiuto, i giorni della settimane e gli orari di maggior accesso, e molto altro ancora.

Quindi ora il problema rimane “ma come faccio a creare e gestire una campagna Pay Per Click con Grants?“. Non preoccuparti, per questo ci siamo qua noi, basta cliccare qui

La rete come modello per il fundraising

Ci sta capitando sempre più come consulenti di fundraising di incontrare non più solo singoli soggetti nonprofit, cioè singole organizzazioni di volontariato, associazioni o cooperative sociali, ma veri e proprie reti di soggetti nonprofit (e non solo). Si tratta di gruppi, centri servizi per il volontariato, consorzi, ma anche reti non necessariamente formalizzate in una soggettività giuridica che aprono ad una dimensione diversa per quantità ma anche per qualità della consulenza direzionale in ambito fundraising.

Sempre più soggetti di coordinamento, reti e gruppi nonprofit, si accorgono che la dimensione di rete appunto, è una dimensione capace di generare valore aggiunto se adeguatamente coltivata e promossa, anche oltre le economie di scala, la capacità di avere maggiore forza contrattuale in gare o progettualità comuni o per le attività istituzionali di rappresentanza che generalmente stanno alla base della loro costituzione.

Ebbene, c’è un valore aggiunto che può essere evidenziato e potenziato, inerente la dimensione intrinseca della rete o del coordinamento o del raggruppamento. Si tratta in particolare della capacità di presentarsi ai propri target di riferimento (soggetti, comunità, potenziali donatori ecc.) come tale e non semplicemente come la somma di soggetti singoli. Questo significa un cambiamento di prospettiva particolarmente profondo da accompagnare con un adeguato intervento di definizione di strategie e strumenti per governare tale dimensione.

Così il nostro intervento, necessariamente integrato, si fonda su un progetto multilivello (sui singoli soggetti della rete, e sulle aggregazioni dei soggetti) che interviene almeno sui seguenti ambiti operativi:

  • La comunicazione, che diventa una leva capace di dare armonicità e identità alla rete come tale, coordinando adeguatamente in un progetto integrato appunto non solo i diversi media (tradizionali, audiovisivi, digitali) ma i diversi soggetti, moltiplicando così la capacità di rappresentazione della rete, restituendo un’immagine adeguata alla struttura reticolare, potenziando le attività promozionali (di vendita di beni e/o servizi, così come di raccolta di donazioni o di ricerca di volontari);
  • Le attività di raccolta fondi in senso stretto, di tipo tradizionale ovvero anche nell’ambito digital, necessitano di un coordinamento e di conseguire i propri risultati a partire proprio dalla logica dello scambio di rete, potenziando così la capacità di penetrazione nei contesti e tra i donatori potenziali;
  • Infine, non per ultimo, il coordinamento e l’integrazione delle strategie digitali all’interno della rete, si pensi ad es. alle attività promozionali che possono essere svolte nell’ambito di progetti di crowdfunding che coinvolgano reti di soggetti e non solo singole nonprofit, così come ad attività di email marketing o a campagne social media martketing che allo stesso modo vedano coinvolti in maniera integrata più soggettività.

Si tratta di una prospettiva di grande interesse, su cui ancora poco si sta studiando. E’ per tale ragione che stiamo promuovendo un protocollo d’intesa con il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Pisa che da tempo studia reti nonprofit e del volontariato, avendo prodotto tra l’altro una riflessione scientifica e anche pubblicazioni di livello nazionale e internazionale di grande interesse. Ci auguriamo che tale protocollo possa essere concluso nelle prossime settimane e cominciare a produrre attività ed iniziative che vadano quindi anche a sviluppare questa riflessione più direttamente legata alla raccolta fondi.

Finanziare solo chi fa bene

La raccolta fondi, lo sappiamo, è un’attività che sempre più sta adottando metodi e tecniche e si fonda su elementi emozionali oltre che razionali capaci di catturare il donatore e fidelizzarlo nel tempo sulla causa benefica promossa. Ma sappiamo anche che il fundraising non è solo questo, è anche strategie, è tecnicalità applicate a tutto il processo di pianificazione-realizzazione-valutazione della raccolta fondi.

Ora, se tali acquisizioni rappresentano a nostro avviso una importante evoluzione che apre a nuove opportunità di raccolta, c’è comunque un discorso di fondo sempre attuale da affrontare, e cioè il merito in termini di efficacia e di impatto che le attività finanziate hanno rispetto agli obiettivi che si ponevano. Si tratta di un elemento di fondo che come consulenti di organizzazioni nonprofit e imprese sociali, ci poniamo e vogliamo sottoporre ad una discussione e ad una elaborazione più ampia. Il fatto non è secondario se si pensa alla necessità di reperire fondi (non solo pubblici, data la contrazione generale) e alla necessità conseguente di concentrare le risorse su ciò che effettivamente è capace di produrre cambiamenti apprezzabili, di segno positivo, sulle realtà su cui le nonprofit intervengono.

Siamo tra coloro che, pur sostenendo e promuovendo lo sviluppo del settore nonprofit, lo guardano con occhi sufficientemente neutrali per ragionare attorno anche alle inefficienze e alle situazioni di scarso impatto che talora tali attività producono. Insomma, una valutazione della bontà dei progetti in termini di efficacia (soprattutto relativamente agli outcome, ossia alla capacità di produrre effetti positivi auspicati nei beneficiari) e di impatto (in particolare nel senso di produrre nel tempo un cambiamento positivo stabile e significativo), rappresenta a nostro avviso un elemento cruciale, su cui anche chi – come le organizzazioni nonprofit – fondano il loro funzionamento, lavora costantemente sul fundraising, cercando di migliorare progressivamente in termini qualitativi e quantitativi la propria capacità di raccolta fondi.

Occorre in questo senso secondo la nostra visione, rafforzare questo legame tra attività di raccolta e misurazione dell’efficacia e dell’impatto delle attività per le quali si richiedono finanziamenti. Recentemente tale visione pare affermarsi anche nell’ambito di alcune esperienze nuove di finanziamento del sistema creditizio, si vedano ad es. i social bond emessi per Dynamo Camp. E’ un terreno ancora non sufficientemente praticato, ma che riteniamo, nel prossimo futuro interesserà più diffusamente il fundraising in generale. Per questo ci siamo mossi anche per promuovere una riflessione in tal senso che abbiamo pensato di svolgere nell’ambito del Festival d’Europa a Firenze in programma il prossimo mese di maggio. Insieme con la CCIAA di Firenze e l’Osservatorio dell’economia civile, lo Yunus Business Centre University of Florence e il laboratorio Arco, abbiamo a riguardo presentato una proposta per un seminario di studio sui temi della valutazione d’impatto e del fundraising, proposta attualmente in valutazione che ci auguriamo possa essere realizzata proprio nell’ambito dell’importante festival della primavera prossima.

Quale sviluppo in Italia per le donazioni?

Lo spunto di riflessione viene da un trend che sembra affermarsi negli ultimi mesi e che vede il fisco italiano sensibilmente più attento a riconoscere forme agevolative sulle donazioni (cfr. ad es. l’aumento del limite massimo detraibile per le donazioni alle ONLUS e alle organizzazioni ad esse assimilate, introdotto con l’ultima legge di stabilità), così come assecondare lo sviluppo del 5X1000 togliendo il tetto che negli ultimi anni aveva limitato non poco le possibilità di entrata da questa fonte per le organizzazioni beneficiarie, ONLUS e non solo.

Alla domanda che abbiamo posto nel titolo, “quale sviluppo in Italia per le donazioni?”, la risposta più ovvia e semplice è che l’andamento possa segnare nuovi aumenti, ma al di là degli auspici, è opportuno ragionare su quali siano le condizioni che possano favorire in qualche misura la crescita.

Recenti report ci hanno mostrato come il nostro Paese non figuri tra i primi (solo al 79esimo posto della classifica mondiale). Anche per questo riteniamo che vi sia un potenziale di crescita particolarmente significativo. Proprio in questi giorni, il portale Vita.it ha riportato una notizia sui primi 50 donatori negli USA, che hanno aumentato del 27,5% le loro donazioni ad organizzazioni benefiche e di come in questo elenco di grandi donatori, la parte principale sia oggi svolta da nomi legati alle industrie hi-tech. Un trend che è possibile forse – sebbene con proporzioni differenti – veder riprodotto anche in Europa e forse parzialmente anche in Italia, ancorché il nostro Paese abbia un modello capitalistico certamente diverso per dimensioni e caratteristiche da quello nordamericano.

Non vi è dubbio però che alcuni fattori strutturali, quali ad esempio il mutato quadro di riferimento del finanziamento del sistema di welfare (e non solo, il ragionamento vale anche per la cultura, l’educazione, la protezione ambientale ecc.), con una generale contrazione delle risorse pubbliche, stia progressivamente portando le organizzazioni nonprofit che a quel sistema di finanziamento pubblico attingevano fino a qualche tempo fa in maniera assai significativa, a recuperare relazioni stabili con i diversi attori individuali e collettivi, profit e non, della propria comunità di riferimento, al fine di accrescere le entrate da donazioni (e da sponsorizzazioni).

Ma se questo rappresenta ormai un elemento che possiamo dire consolidato e che spinge in maniera strutturale il nonprofit a rivedere le proprie strategie di posizionamento anche relativamente alle fonti di entrata per il proprio funzionamento e per lo svolgimento delle attività istituzionali, vi sono a nostro avviso anche altri fattori che possono (e potranno) contribuire ad uno sviluppo significativo del sistema del finanziamento da donazioni private (da cittadini e imprese).

Proviamo ad identificarne due. Quello che sta mutando – seppure con tempi molto diversi rispetto ad altri paesi, si pensi ai paesi anglosassoni – è la cultura del sostegno alle organizzazioni nonprofit. Un contributo significativo in questo senso lo hanno fornito negli anni proprio le misure dell’8X1000 prima e del 5X1000 poi,  che hanno mobilitato un gran numero di contribuenti in un’azione non ulteriormente costosa, ma che ha offerto buone opportunità a molte organizzazioni (non solo per le grandi sigle nonprofit nazionali). Oltre a questo, l’azione sempre più organizzata e stabile nel tempo delle grandi sigle del terzo settore, del mondo associativo e della ricerca che, per sostenere nuove cause sociali legate a malattie rare, alla protezione umanitaria dei minori, al sostegno a distanza o ancora alla protezione dell’ambiente, hanno puntato tutto sulla costruzione di un rapporto continuativo col donatore singolo, con iniziative di massa, con un marketing sociale professionalizzato e con un’attenzione sempre più marcata a personalizzare il percorso di fidelizzazione del donatore, sulla base anche del suo comportamento. L’introduzione di tecniche e metodologie di fundraising professionale ha fatto fare il salto di qualità (e di quantità, in termini di entrate) a molte di queste organizzazioni.

Ecco, l’estensione e la diffusione di tali metodologie, a partire dalla capacità di dare una direzione, degli obiettivi, delle metodologie scientifiche di monitoraggio delle attività di raccolta fondi, la capacità di comunicare adeguatamente e di rendicontare efficacemente quanto svolto con le donazioni raccolte, rappresenta il fattore oggi determinante per molte organizzazioni nonprofit anche di piccola e media dimensione per potersi ri-orientare nella direzione che dicevamo. La spinta ad intraprendere tali modalità gestionali, se non per virtù sarà a nostro avviso frutto di una necessità in molti casi di sopravvivenza o comunque di sostenibilità dell’organizzazione stessa, una strada obbligata insomma, capace tuttavia di aprire a nuove opportunità tali organizzazioni.

L’ulteriore elemento, fattore propulsivo della crescita che vediamo possibile delle donazioni nel nostro Paese, è rappresentato dalle nuove opportunità che il mondo digital mette a disposizione. Lasciamo un attimo da parte la questione del digital divide che in molti casi sembra superata, basti vedere la progressiva diffusione del commercio elettronico (in crescita a doppia cifra percentuale anno su anno) o alla diffusione dei social network (e non solo tra i giovani). Ora, non è questa la sede adatta per approfondire dettagliatamente ciascuna di queste opportunità, del resto sempre in costante evoluzione, ma basti citare l’email o sms marketing, l’adozione di campagne pay per clic con pubblicità magari offerta gratuitamente dal programma Grants di Google. Allo stesso modo, basti citare il potenziale dei social network, non solo per la condivisione di contenuti ed iniziative delle nonprofit, ma anche per canalizzare e potenziare le capacità di raccolta fondi e ricerca di volontari. Ecco, tutti questi nuovi strumenti rappresentano una nuova frontiera da utilizzare sapientemente, promuovendo strategie, ma da adottare senza indugi! Non ultime le nuove opportunità offerte da modalità collaborative di raccolta fondi dal basso date dalle diverse forme di crowdfunding (letteralmente, finanziamento dalla folla), dal rewarding, alla forma donation based o alle forme più complesse e spesso anche più interessanti ad esempio per il mondo delle imprese sociali e delle start up innovative a vocazione sociale, del social lending e dell’equity crowdfunding.

Non resta che attendere le evoluzioni, ma aggiungiamo, con un atteggiamento pro-attivo, capace di costruire percorsi e di mettere le organizzazioni nonprofit nelle condizioni strutturali per poter catturare flussi di donazioni che potranno costituire una valida fonte alternativa di finanziamento e sostegno delle cause sociali.

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