I tre must della filantropia responsabile

E’ certo che la filantropia non sia sinonimo di responsabilità sociale d’impresa (CSR – Corporate Social Responsability) e, anzi, la CSR ha impiegato molto a sottolineare un differente approccio non riconducibile (e forse anche non riducibile) ad esperienze, pur meritorie, di filantropia aziendale. Tuttavia è da chiedersi se in un più ampio significato di responsabilità sociale non vi siano anche comportamenti orientati da principi etico-sociali che investono non solo il processo produttivo dell’azienda (ad es. la responsabilità ambientale, il fatto di ottenere certificazioni etiche ecc.), ma anche i suoi rapporti con il contesto sociale, con il quale costruire anche percorsi di sostegno e persino di co-investimento.  Proviamo a fissare tre punti cruciali, potremmo chiamarli i tre must della filantropia responsabile:

1. Essere socialmente responsabili. Non puoi fare filantropia senza essere socialmente responsabile nella tua attività aziendale. Saresti incoerente e metteresti in difficoltà l’organizzazione nonprofit. Per altro verso, l’organizzazione nonprofit deve avere la stessa coerenza, cercando partnership solo con chi dimostra di essere socialmente responsabile ed essendolo essa stessa.

2. Cercare partnership solide. Spesso vediamo esperienze di un sostegno occasionale a progetti o ad iniziative sociali che, al di là dell’aspetto importante, ma non esclusivo, della raccolta fondi, non danno idea di solidità, di un percorso comune condiviso di partecipazione al progetto, di sostegno all’idea, di condivisione dei motivi. Questi aspetti sono invece decisivi, perché possono motivare anche altri a donare, a sostenere la causa con importi maggiori e possono far nascere esperienze di collaborazione inattese ed innovative.

3. Rendicontare. Regola madre che vale per tutti. Per l’impresa come per la nonprofit. Si possono trovare strumenti e modalità anche integrate di rendicontazione, ma mai dimenticare di farlo o trascurare questo aspetto!
Sei un’impresa e vuoi fare un percorso di responsabilità sociale? Sei una nonprofit e vuoi cercare donatori corporate socialmente responsabili? Contattaci, costruiamo insieme un progetto vincente!

Fare Fundraising sui social: quanto tempo serve?

Il tempo che una nonprofit può investire in mobile e social media dipende dalla sua grandezza: le piccole associazioni che non hanno la possibilità di assumere un manager dedicato dovranno per forza di cose limitare la loro attività a uno o due social network, dando la priorità alla comunicazione del proprio fundraising al sito web e all’email marketing. I social media sono strumenti ad alto potenziale ma, allo stesso tempo, ad alto consumo di tempo, pertanto se le ore dedicate sono poche i canali online “tradizionali” garantiscono un ritorno maggiore.
Nel caso in cui la piccola associazione decidesse di suddividere gli sforzi tra più persone di uno stesso team è necessaria una guida comune e un costante allineamento di tutti i membri del team, per fare in modo che ogni social sia allineato con gli altri. Inoltre lo staff dovrà essere correttamente formato e informato sulle pratiche di comunicazione per il social che andrà a gestire.

Le associazioni più grandi possono considerare l’idea di utilizzare le competentenze di un social media manager esterno per la gestione dei social media, mentre le grandi associazioni potranno inserire al proprio interno una o più figure professionali dedicate a questo importante canale di comunicazione.

Ma perché la gestione dei social network richiede un così alto investimento di tempo e denaro? Cerchiamo di dare nel seguito una stima del tempo minimo (settimanale) da dover spendere per gestire questo tipo di comunicazione:

Blog: 6 ore a settimana, il tempo minimo per poter trovare idee, scrivere, integrare foto e video. Numero di post realizzati? Due.
Facebook: 4 ore a settimana, tempo minimo per la pianificazione di 4-6 post, rispondere ai commenti degli utenti e controllare le statistiche
Twitter: 5 ore a settimana, tempo minimo per inserire 4 tweet/retweet al giorno, per rispondere ai messaggi e alle citazioni, organizzare le liste di follower e trovare nuovi follower “strategici”
Google+: 3 ore a settimana, tempo minimo necessario per pubblicare 4-6 aggiornamenti e interagine nelle cerchie di Google+
Linkedin: 2 ore a settimana, tempo minimo necessario per inserire 2-3 post, aggiornare il profilo e partecipare alle discussioni sui gruppi
Youtube: 1 ora a settimana, tempo minimo necessario per caricare video, iscriversi ad altri canali e studiare le campagne video di altre nonprofit.

La lista potrebbe proseguire con altri post, che al momento in Italia hanno un uso più limitato, come Pinterest e Instagram.

Da non dimenticare che alla fase di produzione contenuti e gestione devono essere necessariamente affiancate fasi di pianificazione e studio della comunicazione, creazione di grafiche e video, analisi dell’andamento delle campagne e dei risultati ottenuti.

Ancora convito di non aver bisogno di un Social Media Manager per ottenere il massimo dalle tue campagna di Fundraising?

Raccolta fondi e Web 3.0

Internet oramai fa parte della quotidianità, siamo talmente abituati ad avere una connessione che quasi non ci rendiamo conto del tempo passato e di quante cose utili riusciamo a fare grazie alla rete.
Le statistiche parlano di 20 milioni di italiani, tra i 18 e i 64 anni, che ogni giorno utilizzano “il web”, la maggior parte di questi (circa l’80%) utilizza un dispositivo mobile.

Questi pochi dati ci lasciano capire quanti opportunità la rete potrebbe concedere alla nostra raccolta fondi, basti pensare che lo scorso anno l’83% degli utenti ha effettuato almeno una donazione online!

Una riflessioni in questo caso ì obbligatoria: sono molto più interessati gli utenti a donare che le associazioni a ricevere! Chiaramente si tratta di una frase provocatoria, ma purtroppo non lontana dalla realtà: gli utenti si trovano infatti davanti siti web mal costruiti, con bottoni per donazioni online (quando previsti) poco visibili, scarni di contenuti e di informazioni sulle cause e i progetti da sostenere, senza considerare la compatibilità con i principali dispositivi mobili.

Cerchiamo quindi di capire meglio i passi fondamentali di una corretta pianificazione strategia per la raccolta fonti tramite web:

1. Piano di comunicazione: come ogni strategia di marketing, il digital fundraising prevede un’importante fase di pianificazione della comunicazione, durante la quale verrà deciso cosa verrà comunicato, come avverrà la comunicazione, come personalizzare la comunicazione in base al target, come differenziare la comunicazione in base al canale, e così via.
2. Sito web: la tendenza delle associazioni di avere un sito auto-prodotto non è totalmente sbagliata, ha il vantaggio di ridurre i costi di realizzazione e gestione; ma in ogni caso il sito deve seguire poche ma importantissime regole per poter trasmettere la giusta user experience ai navigatori e contenere le informazioni fondamentali necessarie a trasformare i navigatori in donatori. Importante dare visibilità a banner, link, sezioni dedicate alle donazioni!
3. Social network: il mondo di oggi sembra non poter fare a meno dei social network. E così deve essere anche per le associazioni che vogliono raggiungere e sensibilizzare quanti più utenti web possibile. Ma le stesse pagine social possono essere un’arma a doppio taglio: gli utenti liberi di scrivere i loro pensieri potrebbero esprimere critiche o malcontento nei confronti della vostra relazione: la gestione dei rapporti che si creano tramite questo canale sono una parte molto delicata, da gestire in modo corretto, senza censure di eventuali commenti negati.
4. Mobile e app: dai dati precedenti abbiamo visto che circa 16 milioni di italiani ogni giorno hanno accesso alla rete tramite dispositivo mobile. Inutile dire che oramai qualunque app, comprese quelle di messaggistica, utilizzano la rete, quindi questo dato è fortemente influenzato. Oltre alla (fondamentale) versione mobile del sito web, la raccolta fondi potrebbe essere affiancata da un qualche tipo di app che collega utilità o divertimento alla vostra causa (un esempio potrebbe essere Energizer Night Run per donare a Unicef)
5. Promozione: il miglior sito possibile, il più completo piano di comunicazione o la strategia social perfetta, non servono a niente se nessun utente riesce a trovarti su Google o sui Social. La promozione rappresenta quindi l’aspetto fondamentale per il successo del fundraising digitale, sia fatta tramite SEO, che tramite campagne AdWords (o meglio ancora Google Grants) o annunci sponsorizzati sui social network (che permettono una profilazione del proprio target)
6. Analisi e ROI: non ci stancheremo mai di dirlo “sul web tutto è tracciabile”, possiamo quindi capire i canali di provenienza dei dontori, quali sono sono i punti di forza o di debolezza della nostra strategia, apportare modifiche per migliorare l’esperienza utente, definire un “ROI” (ritorno sull’investimento) per capire il reale andamento della raccolta al netto delle spese di promozione, etc.

E tu, hai già pianificato la tua campagna di digital fundraising?

Crowdfunding: facciamo chiarezza

e ha raccolto oltre 60.000 dollari per realizzare una statua di Robocop, simbolo della città americana.

“Ma in cosa consiste il Crowdfunding?” In linea di principio il concetto è abbastanza semplice: ho un’idea, un progetto o un prototipo e sto cercando finanziatori. Pubblico il mio progetto su una piattaforma e, se ritenuto meritevole, verrà finanziato. Chi sono i finanziatori in questo caso? La “folla” (crowd), donne e uomini comuni che hanno deciso di dare il loro contribuito affinché il tuo sogno non rimanga tale.

Vediamo più in dettaglio i vari tipi di Crowdfunding, definiti dalle piattaforme che ospitano i progetti:

  • Donation based: ospitano progetti per i quali vengono richieste semplici donazioni, senza alcuna ricompensa per il donatore
  • Reward based: ospitano progetti per i quali sono previste ricompense a seconda dell’entità della donazione effettuata.
  • Equity based: attraverso il finanziamento al progetto il finanziatore partecipa al capitale di rischio della società e ne riceve i benefici giuridici e patrimoniali derivanti. L’Italia ha la prima normativa in materia di equity based, oggi riservata alle start-up innovative, in futuro probabilmente anche alle imprese sociali
  • Lending based: E’ la forma di crowdfunding che si fonda su micro prestiti tra privati remunerati a tassi agevolati

Quindi l’unica discriminante è data da “come” e “quanto” un progetto (o la comunicazione strategica che ci sta dietro!) riesca a coinvolgere gli utenti e convincerli ad aprire il portafoglio! Per il resto, nessun limite alla fantasia.. In realtà la questione è più complessa e assume aspetti specifici a seconda del tipo di progetto presentato, del soggetto presentatore, della tipologia di piattaforma (perché ciascuna risponde in qualche modo a business model differenti) così come di altri fattori contestuali e relativi alle strategie digitali adottate. Insomma, una novità di grande interesse, che pare crescere nell’impatto complessivo e nella capacità di mobilitazione di risorse partecipative oltre che di capitali o comunque di risorse, ma un fenomeno diversificato e per questo anche complesso.

Social e raccolta fondi: come gestire la comunicazione?

I Social Network sono attività ad alto dispendio di tempo, ma allo stesso tempo rappresentano uno dei canali principali per la visibilità della tua campagna di raccolta fondi. Diventa quindi importante riuscire ad ottimizzare i tempi dedicati alle pagine Social, senza diminuire la qualità della comunicazione.

Come accade per qualunque tipo di progetto, la fase principale della strategia Social deve essere fatta prima del lancio della raccolta fondi. Alcune delle domande fondamentali a cui dare risposta sono le seguenti:

  • chi è il tuo target di riferimento?
  • che social network utilizzerai per intercettare il tuo target?
  • quando e come usano i social network gli utenti del tuo target?
  • che tipo di comunicazione (taglio) darai attraverso le pagine?
  • quali sono gli argomenti principali che dovranno contenere le pagine?

Le risposte alle prime domande potranno essere inizialmente date solo con un’attenta analisi e la creazione di “personas” per approfondire i comportamenti degli utenti del target di riferimento.

Facciamo un esempio:

Target di riferimento: uomini-donne, 35-60 anni,
Social utilizzato: Facebook
Quando: uomini e donne dai 35 ai 60 anni sono lavoratori, quindi sicuramente l’utilizzo di Facebook in orario lavorativo sarà ridotto. La fascia più bassa (35-40 anni) potrebbe avere figli piccoli da accudire, quindi il tempo a disposizione potrebbe calare ulteriormente. Alla fine di questa analisi (che potrà essere maggiormente approfondita) avrò individuato, ad esempio, le seguenti fasce orario: 12-14 (pausa pranzo), 18-19 (mezzi pubblici durante il ritorno dal lavoro), 21-23 (svago dopo cena). A questo punto non mi resta che impostare la mia comunicazione in modo da coprire maggiormente questi momenti della giornata.

A questo punto dovrà essere deciso il “taglio” della comunicazione, ricordando che ogni Social Newtwork ha una sua propria caratteristica. Pubblicare post dal taglio professionali o comunque eccessivamente “seri” su Facebook sarà quasi certamente una perdita di tempo: Facebook viene usato come passatempo nella maggior parte dei casi, la comunicazione deve quindi far leva sulle emozioni, sia positive che negative, può essere pubblicato un aggiornamento sulla raccolta fondi invitando a condividere con gli amici, sono molto importanti immagini che colpiscono subito gli utenti e post che generano curiosità. Su Twitter dovremmo creare un hashtag da usare in tutti i nostri tweet, nei quali la comunicazione deve essere ridotta all’essenziale (160 cartatteri a volte possono essere pochissimi).

Una volta affrontati tutti gli aspetti visti in precedenza, non resta che decidere “cosa” pubblicare sulle pagine Social. Ogni progetto ha certamente esigenze diverse, anche dovuti al fatto di trattarsi di campagne di Fundraising o di Crowdfunding, in ogni caso possiamo individuare alcuni post comuni a tutte le raccolte fondi:

  • presentazione del progetto
  • sensibilizzazione degli utenti sulla causa specifica
  • raggiungimento di obiettivi
  • ringraziamento donatori
  • sviluppo del progetto (una volta finanziato)

Alcuni social (Facebook e Twitter tramire tweetdeck) permettono di schedulare la pubblicazione dei post, ciò non toglie che la presenza dovrà essere costante sia per pubblicare notizie non programmabili (esempio il raggiungimento di un obiettivo) sia per rispondere a commenti e messaggi degli utenti.

Infine non va dimenticata l’analisi delle statistiche che potrebbero modificare le strategie adottate fino a quel momento. Ma questo lo vedremo in un prossimo post.

Fare peopleraising con LinkedIn

Quando parliamo di Social Network quasi sempre la mente corre a Facebook o Twitter, i più utilizzati. Linkedin forse è quello che viene meno associato all’idea dei Social, forse per il tipo di comunicazione più formale rispetto agli altri. In effetti Linkedin è una comunità di professionisti, con poco spazio per le “leve emozionali” molto utili in altri Social.

Ma le sorprese arrhttps://www.myfundraising.it/wp-content/uploads/2020/05/Single-Post_9-Featured_img.jpg sempre inaspettate. Forse non tutti sanno che Linkedin ha un’area dedicata alle non profit, nella quale è possibile inserire offerte di ricerca di volontari per la propria associazione. I passaggi da effettuare sono semplici

1. Crea la pagina della tua associazione
2. Incoraggi i tuo volotari a sostenere la tua causa e inserire nel loro profilo la loro esperienza di volontariato
3. Pubblica un annuncio di ricerca di volontari, sfruttanto la rete professionale di Linkedin

Degli oltre 300 milioni di utenti di Linkedin, l’82% ha espresso il proprio interesse per le attività di volontariato. Le offerte di ricerca di volontari possono essere visualizzate al seguente link.

Al momento non esistono statistiche per quanto riguarda gli utenti italiani, ma come tutte le opportunità offerte al non profit (tra cui ad esempio Google Grants) pensiamo sia il caso di fare almeno un tentativo per le future campagne di peopleraising.

Riforma del terzo settore: un primo passo decisivo

E’ notizia dei giorni scorsi l’approvazione in Commissione parlamentare del testo della Legge delega sul Terzo Settore, un primo importante passo – potremmo dire decisivo – verso una riforma organica e complessiva, attesa da anni. Molti sono gli aspetti toccati, di cui al momento il testo contiene naturalmente (soltanto) le linee guida su cui dovranno poi essere emanati, una volta approvata in via definitiva, ed entro dodici mesi dalla sua entrata in vigore, i decreti delegati. Il percorso è perciò ancora lungo, ma il risultato sin qui raggiunto è assolutamente apprezzabile e delinea alcuni tratti fondamentali.

Un primo elemento che rappresenta una vera novità e getta le basi per un intervento strutturale, è la delega per la revisione del Titolo II del libro I del Codice Civile su associazioni e fondazioni, prima ancora che il riordino della disciplina speciale, inclusa la disciplina tributaria (certamente uno dei nodi più complessi da sciogliere) – entrambe comunque previste dal testo della delega. Rivedere complessivamente una normativa significa appunto dare solidità giuridica alle fattispecie organizzative, ed è quello che serve appunto per costruire un impianto normativo, anche di carattere tributario, altrettanto solido. E rispetto al carattere tributario – come si ripromette la delega – l’orientamento sembra essere quello della semplificazione ad es. del regime di deducibilità e detraibilità delle erogazioni liberali. E’ in questo contesto che entra in gioco per la prima volta – merito di un’iniziativa promossa dalla collega fundraiser Elena Zanella – il fundraising, quale modalità volta alla promozione di comportamenti donativi delle persone e degli enti.

Tralasciamo in questa breve rassegna – ma con l’intento di ritornare sul punto in successivi articoli – due importantissime misure, la disciplina del 5X1000 e il servizio civile universale, per focalizzare l’attenzione, in conclusione, su un altro aspetto decisivo della riforma, relativo all’impresa sociale. Questa qualifica giuridica, ha finora avuto poco successo e una diffusione limitata, specie in virtù  dell’assenza di un regime agevolativo adeguato, della impossibilità assoluta di distribuzione degli utili e di una eccessiva restrizione degli ambiti di applicazione. L’impresa sociale effettivamente può essere una nuova leva di sviluppo non tanto per il Terzo Settore in sé, quanto in termini di innovazione sociale, di capacità di rispondere alla domanda ‘sociale’, oggi più ampia e diversificata, non ultimo anche di opportunità di occupazione e sviluppo sociale complessivo. Uno degli aspetti di interesse è senz’altro l’estensione – prevista dalla delega – del regime riservato alle start up innovative, inclusa la possibilità di accesso all’equity crowdfunding, che potrebbe rappresentare una nuova leva di finanziamento alternativa (o meglio, integrativa) del credito (anche specializzato) di stampo tradizionale.

Non resta che attendere gli sviluppi!

SEO e Fundraising: come valutare i risultati della campagna?

Alzi la mano chi ha usato Google. Tutti, vero? Il motore di ricerca californiano è ormai utilizzato per oltre il 90% delle ricerche fatte sul web da utenti italiani. Il successo del colosso di Montain View è dovuto alla qualità dei risultati che ci presenta nell’esatto momento in cui stiamo facendo una ricerca. Google quindi rappresenta un’opportunità anche per le nostre campagne di raccolta fondi. Come possiamo sfruttarlo?

Un po’ di storia
Diversi anni fa essere posizionati tra le prime posizioni di un motore di ricerca era abbastanza semplice: l’algoritmo era ancora acerbo, i siti web erano in numero decisamente minore rispetto a quelli di ora e con qualche “trucchetto” e i giusti tag era possibile ottenere risultati esaltanti, ad esempio essere nella prima posizione per ricerche tipo “raccolta fondi”.
Sfruttando i trucchetti del mestiere e i bug dell’algoritmo qualsiasi sito, però, avrebbe potuto entrare in competizione con quello della nostra associazione, confondendo gli utenti e raccogliendo (spesso in maniera truffaldina) le donazioni a noi destinate.

Gli ingegneri di Google decisero allora di correre ai ripari ed iniziò una “guerra” tra Google e “SEO”: da una parte chi voleva impedire il posizionamento di siti di bassa qualità sulle proprie pagine, dall’altra chi cercava di scoprire sempre nuove tecniche e bug dell’algoritmo di ranking per poter posizionare i propri siti web.

Lo stato attuale
Nel corso del tempo l’algoritmo di Google è diventato sempre più sofisticato, comprendendo secondo alcune fonti centinaia di parametri per poter decidere il ranking di una pagina web, sono state introdotte penalizzazioni per alcune tecniche SEO usate storicamente e considerate scorrette (tra i tecnici definite “black hat”). Negli ultimi tempi inoltre i risultati sono sempre più legati alla geo-localizzazione o personalizzati sulla base delle storico delle ricerche di ogni utente, della cronologia, del comportamento sui siti visitati… Il lavoro del SEO si è sempre più evoluto. O almeno dovrebbe. A questo punto una domanda è d’obbligo: come posso valutare le performance di una campagna SEO dedicata alla nostro fundraising?

SEO di successo? Ce lo dice Google Analytics
Agli albori della SEO una campagna di successo si vedeva facilmente: se la mia pagina web si posizionava in prima posizione per alcune chiavi che avevo scelto (ad esempio “raccolta fondi”), era fatta: chiunque avesse fatto quella ricerca avrebbe sicuramente visitato il mio sito. Un SEO valutava le proprie performance semplicemente sul ranking.

Facendo un salto temporale di diversi anni, ancora oggi ci sono SEO che forniscono report di posizionamento o cercano di vendere “la prima pagina di Google”. Come detto precedentemente al giorno d’oggi non esiste un’unica pagina di risultati per una determinata parola chiave, anzi potenzialmente il ranking potrebbe cambiare anche se io facessi la solita ricerca dal computer in ufficio e dal computer di casa. Chi vi dice “sei in prima posizione con tale keyword” o mente sapendo di mentire o non sa di cosa sta parlando!

Dal nostro punto di vista l’unico parametro che possiamo analizzare per capire se la SEO dedicata al fundraising sta avendo risultati è la percentuale di visite che provengono da ricerche organiche, cioè controllare attraverso Google Analytics la provenienza dei visitatori e capire se il sito sta registrando un aumento di visite da parte di utenti che hanno fatto una ricerca su Google. Un incremento di questo dato ci dice che il nostro lavoro sta andando nella giusta direzione, un decremento deve essere un campanello d’allarme che ci deve far correre ai ripari.

Basta questo a capire le performance della nostra campagna SEO? Continua a seguirci, nei prossimi articoli troverai la risposta.

Fundraiser, un’associazione su 5 non può farne a meno

No, non siamo autocelebrativi (almeno in questo caso ;)), riprendiamo questo articolo da una ricerca pubblicata su Vita sull’importanza del fundraiser all’interno delle associazioni.

In Italia sono circa 2000 i fundraiser di professione, con un’età media di 41 anni e una prevalenza femminile. Pur essendo un lavoro in cui raggiungere gli obiettivi è molto imporante, la maggior parte dei professionisti ha un fisso retributivo, mentre solo il 3% è pagato a provvigione.

Ma passiamo ai dati relativi alle associazioni: quasi il 20% delle non profit che hanno partecipato al censimento si affidano a un fundraiser, con picchi a Bolzano, in  Lombardia e in Emilia.

E tu ti sei già affidato ad un fundraiser? Ricorda che la raccolta fondi non deve essere pensata solo in caso di emergenza, ma deve essere uno strumento costantemente attivo. Per maggiori informazioni puoi contattarci.

Leggi l’articolo su Vita.it

“Raccogli Persone” per la tua associazione!

Pianificare, progettare e realizzare la migliore campagna di fundraising possibile non sempre è sufficiente per raggiungere i propri obiettivi. Soprattutto se manca la “materia prima”  per gestire tutte le attività necessarie.

I volontari, il “capitale umano” di ogni associazione, sono più importanti di qualunque finanziamento ottenuto, perché con il loro lavoro garantiscono lo svolgimento delle attività associative e, soprattutto, delle attività di raccolta fondi.

Spesso sentiamo lamentale sulla mancanza di volontari, sulla mancanza di valori o di impegno da parte della cittadinanza. Ma quante volte le associazioni danno a loro stesse la colpa della mancanza di volontari? Quasi mai!

I potenziali volontari sono ovunque, gli stessi donatori, che hanno già dimostrato la loro sensibilità, potrebbero diventare quella risorsa tanto importante quanto rara. Ma in quanti, oltre alla richiesta in denaro, chiedono anche un aiuto concreto di qualche ora? E questo è solo il primo passo.

Una campagna di peopleraising ha come obiettivo quello di attirare volontari all’interno dell’associazione e non può essere svolta solo saltuariamente! le persone hanno tempi di coinvolgimento differenti, i rapporti umani devono essere curati, i potenziali contrasti (presenti in qualsiasi gruppo di persone) devono essere appianati.. insomma, dimentichiamoci che il volontario una volta “catturato” si possa rinchiudere in una cassaforte e “usare” sono al momento del bisogno.

Infine non dobbiamo dimenticarci di chi vuol fare il volontario ma non lo sa! Quante persone hanno una grande voglia di aiutarci, ma noi ci dimentichiamo di “comunicare” con loro, di far conoscere le nostre associazioni, di far sapere quanto è facile e bello fare il volontario.

E tu, hai già iniziato a fare peopleraising? Se vuoi possiamo parlarne insieme, scrivici ora!

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