Il fundraising e la ricerca sui donatori, social network analysis e altro ancora

Durante un nostro percorso formativo diretto ad Associazioni di Volontariato tramite un CSV (Centro di Servizi per il Volontariato), ci è capitato di ragionare su esperienze di fundraising fatte da piccole organizzazioni. Alcune, anche di uno stesso territorio, nemmeno si conoscevano, altre invece avevano già sviluppato attività in rete, ma nessuna aveva mai promosso in rete attività di raccolta fondi. Perché no? Imbarazzo e capisci che da un lato nessuno ci ha pensato, dall’altro probabilmente è presente un atteggiamento riservato (per così dire) quando si tratta di risorse. Certo, qualche progetto in rete, ma davvero in rete o una partnership formalizzata solo sulla carta in accordi poi dimenticati non appena consegnato il progetto?

Stiamo pensando però al tema fundraising e rete. Fundraising nel senso anche di strategie verso donatori individuali e verso imprese. Tra l’altro sempre più spesso il cause related marketing e altre tradizionali modalità di relazione tra profit e nonprofit, per restare a pratiche di fundraising col mondo corporate, si trasformano in vere e proprie partnership che coinvolgono valori e processi aziendali da un lato e solidali dall’altro, con la partecipazione spesso allargata al personale dell’azienda in esperienze di volontariato, in percorsi di vera e propria responsabilità sociale che vanno oltre la donazione incardinata nei processi di vendita di servizi e prodotti.

Ma anche in questo caso a scommettere talora sono più le aziende che le nonprofit. Ci è capitato ad esempio che in occasione della Festa della Mamma, con un nostro Cliente non siamo riusciti a strutturare alcuna campagna perché la proposta di costruire un percorso di rete con alcuni esercizi commerciali del territorio ha incontrato perplessità e poco entusiasmo e l’organizzazione si è trascinata per qualche mese senza poi riuscire a proporre nulla….un’occasione persa. D’altro lato, ci è invece capitato in passato di svolgere una campagna centrata sulla distribuzione di un calendario che voleva raccontare un progetto di orticoltura con persone con disabilità. L’idea di costruire reti col territorio passava in questo caso dalla disponibilità di ristoratori locali a fornire ricette, una per ogni mese e contribuendo alla diffusione dell’iniziativa. La campagna in questo caso ha avuto un esito particolarmente positivo, sia economicamente in termini di raccolta fondi netta e di ROI, ma offrendo anche motivi di sviluppo sull’attività.

Crediamo molto che la strategia di costruire reti, non solo con altre organizzazioni nonprofit, ma anche col mondo corporate sia una chiave non solo per rendere ottimale l’impiego di risorse, ma per creare ulteriore valore, anche da un punto di vista sociale. Per questo che noi di Myfundraising abbiamo stretto una partnership con il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Pisa, specializzato nello studio delle reti sociali attraverso le metodologie della social network analysis,  un protocollo d’intesa che desideriamo mettere a disposizione dei nostri Clienti per costruire percorsi di rete anche per il fundraising.

Quali caratteristiche ha la rete nella quale è inserita la tua organizzazione nonprofit? E quali potenzialità in termini di efficientamento ha? Qual è il potenziale che la tua rete potrebbe esprimere anche ai fini della raccolta fondi? Sono solo alcune domande alle quali possiamo rispondere. Ma questo è solo l’inizio. In realtà, miriamo a proporre un’idea di fare fundraising che corra insieme al fare ricerca e metta al centro il donatore. Per questo la social network analysis ci aiuta per alcuni aspetti, ma non è l’unica metodologia e l’unico percorso che sviluppiamo. Se il digital ad esempio ci offre tutta una serie di metriche, per certi aspetti anche nuove, altre metodologie quantitative e qualitative ci aiutano a leggere il comportamento e le preferenze dei donatori. Un modo che anche le piccole ONP, magari in rete, potrebbero senz’altro adottare per migliorare le loro attività di raccolta fondi.

Quant’è importante fidelizzare il donatore? Se ancora non ce l’hai, ti serve un “donor care”

Fidelizzare il donatore oggi non è più una mission impossible! Ma dipende molto dalla tua organizzazione nonprofit. Se non hai ancora sviluppato un servizio donor care (un po’ come un customer care)  per la tua ONP, questo è il momento di farlo!

Decidi che per la tua ONP il donatore è veramente importante

Sì, proprio così. La ONP deve stabilire con chiarezza che quella col donatore è una relazione strategica e quindi ad essa va dedicato tutto l’impegno possibile. Sembra ovvio, ma non sempre è così. Recentemente durante un corso di formazione un volontario, a sua volta personalmente donatore, ha raccontato la sua esperienza con una grande ONP; malgrado fosse già un donatore, riceveva continuamente solleciti a donare per l’obiettivo su cui aveva già provveduto a versare il suo contributo. Certamente sui grandi numeri questo può accadere, ma lascia nel donatore la percezione di essere uno tra i tanti, non uno che è speciale perché senza di lui davvero non sarebbe possibile realizzare l’attività solidale.

Personalmente ho ricevuto una lettera di invito alla donazione in occasione della Pasqua e, avendo un occhio attento (forse anche un po’ esperto), sono andato a spulciare le virgole trovando con grande sorpresa e disappunto l’informativa privacy che riportava quale titolare del trattamento un’altra organizzazione nonprofit, non quella che mi aveva spedito la comunicazione. Errore secondo me attribuibile al fornitore tecnico e in parte anche ad una mancanza di controllo, con non pochi problemi dal punto di vista della privacy e senz’altro una figuraccia, almeno per come la vedo io.

Stabilisci un budget!

E’ il banco di prova che davvero ci credi e la tua decisione di puntare sulla cura delle relazioni col donatore è davvero una cosa importante per la tua organizzazione nonprofit. Non hai ancora fatto un Direttivo con all’OdG la decisione su questo stanziamento? Devi farlo al più presto, è una priorità! Paradossalmente la cosa è più facile e meno costosa per le piccole organizzazioni nonprofit (una volta ogni tanto…). I pochi (o tanti) donatori devono in questo caso essere davvero coccolati e devono sentirsi parte del vostro progetto. Spesso però anche nelle micro-realtà, questo non avviene e tutto si esaurisce in una lettera di ringraziamento (quando va bene).

Stabilire un budget di risorse dedicate a questa attività significa prendersi davvero l’impegno di farlo. Occorre quindi un quid di risorse economiche per quanto si deve realizzare, ma anche sufficienti risorse umane per poter curare questo aspetto (chi fa incontri, telefonate ecc.). Se i donatori (e i processi relativi alle relazioni con questi) sono un asset per le nonprofit, non si esce da questa modalità. Il costo di acquisizione di un nuovo donatore è spesso elevato per un’associazione, in molti casi è difficile se non raro trovarne di nuovi. Occorre pertanto definire una strategia e azioni concrete di mantenimento e rinnovo dell’impegno per i donatori attuali.

Le comunicazioni personalizzate non bastano! Serve un donor care

Ormai tutte le ONP fanno una comunicazione personalizzata, ad es. su un direct mailing, sulle newsletter ecc., ma questo dovremmo considerarlo davvero il minimo sindacale. Dobbiamo infatti pensare a strategie differenziate a seconda del comportamento del donatore. Ad es. se hai già compiuto un’azione (es. il rinnovo di una donazione, la sottoscrizione di una petizione ecc.) non dovremo sollecitare quella stessa azione. Qui la base, lo sappiamo, è un’adeguata gestione del database donatori.

Occorre però andare oltre. Ad es. è previsto un donor care? Un servizio cioè di assistenza al donatore. Ritengo personalmente che questo possa essere un nuovo e decisivo ambito di sviluppo per il fundraising delle ONP. Possiamo utilizzare live chat, numeri verdi, aree riservate per il donatore, social media o altro ancora, possiamo ad es. dedicare un pensiero per il compleanno del donatore, fare gli auguri per le festività, informare e aggiornare direttamente il donatore sulle evoluzioni dei progetti che ha contribuito a finanziare, ma il donatore deve poter contare su un servizio a lui dedicato. Questo livello di personalizzazione viene generalmente calibrato in base allo stadio in cui si trova il donatore, se è un donatore alla sua prima donazione, o se è un donatore di lungo periodo, se è donatore per piccole somme o se è un grande donatore. Questo atteggiamento ha una sua ragionevolezza, tuttavia è da considerare che ciascun donatore potrebbe contribuire con un impegno maggiore, o potrebbe presentare l’organizzazione ad un altro simpatizzante o altro ancora…Vale la pena perciò ragionare su un serio investimento nel donor care.

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La privacy per il fundraising

Il database donatori costituisce senza dubbio uno degli asset strategici per ogni organizzazione nonprofit che voglia operare con successo nel fare fundraising. La questione connessa del trattamento in sicurezza dei dati personali (e talora sensibili) dei donatori, rappresenta un aspetto ancora troppo poco valutato da molte organizzazioni, specie di piccola o media dimensione. Un problema che investe anzitutto uno stile operativo, un modo cioè di porsi di fronte alla realizzazione della missione dell’organizzazione nonprofit, prima ancora che di rispetto di norme cogenti.

L’anno prossimo ci sarà l’adeguamento del nostro sistema normativo alle norme europee. L’Italia è comunque, da un punto di vista non solo della normativa, ma anche della giurisprudenza in materia, non certo seconda ad altri Paesi. Il settore nonprofit, che peraltro per altri aspetti di gestione di attività e servizi è invece sufficientemente maturo nell’applicazione della normativa di settore, relativamente alle finalità di raccolta fondi stenta ancora, forse sottovalutando la portata del problema, forse non ponendo sufficientemente l’accento su alcuni aspetti critici.

Al di là di autorizzazioni specifiche nella raccolta dei dati personali per le specifiche finalità di promozione e raccolta fondi, i problemi in gioco sono molteplici. Solo per fare degli esempi, un’organizzazione che opera in ambito sanitario o sociale verso soggetti svantaggiati, nel momento in cui tratta un dato di un donatore, è altamente probabile che stia trattando un dato sensibile. Il che naturalmente pone ulteriori questioni in merito allo specifico trattamento da assicurare. Laddove ad esempio l’organizzazione nonprofit operi nell’ambito delle adozioni a distanza e trasmetta immagini, nomi, storie e dati riferiti ai bambini, magari di altri paesi, pone la questione di come vengano trattati questi dati, se vi siano le autorizzazioni necessarie, se vi sia un approfondimento rispetto alle norme che tutelano la privacy nei paesi di provenienza ecc. Si capisce così come sia assolutamente complesso e non banalizzabile la questione della privacy.

Uno degli aspetti che ci troviamo ad affrontare nelle attività di consulenza in questo ambito è la necessità di valutare il gap rispetto all’applicazione normativa. Per questo abbiamo istituito collaborazioni con esperti in grado di fare un quadro di analisi specifico delle necessità. Non basta insomma avere lettere di incarico, un’informativa scaricabile sul sito web e un’autorizzazione comunque presa. Occorre invece valutare adeguatamente il rischio e dotare l’organizzazione di tutti gli strumenti e le tutele a vantaggio dei soggetti in campo, non solo per onorare l’obbligo normativo, ma per fare del rispetto della privacy un elemento strategico dello stile operativo della nonprofit.

Imprese cercasi!

Volete sviluppare un fundraising dalle imprese? Per favore, non acquistate online indirizzi email non profilati, non partite a caso senza una strategia e senza una mèta, non presentatevi ad elemosinare un contributo per la vostra causa.

Voi siete un’organizzazione nonprofit seria e cercate imprese serie con le quali condividere un progetto (serio anch’esso). Per questo volete cercare senz’altro imprese che vadano a sostenere la vostra causa, ma non ad ogni costo! In tutti i manuali di fundraising e in tutti i corsi, giustamente un accento particolare viene messo sui motivi di incompatibilità od inopportunità nel ricevere una donazione da parte di un’impresa. Ad esempio quando vi siano conflitti di interesse manifesti, cioè ad esempio quando l’impresa potrebbe farvi una donazione per avere un trattamento di favore in una fornitura, piuttosto che nel caso in cui l’impresa operi manifestamente in modo non socialmente responsabile, e dunque in conflitto in qualche modo con la missione della vostra organizzazione.

Non procedere a caso, presentarsi adeguatamente all’impresa, adottare una specifica strategia di costruzione di relazioni col mondo imprenditoriale, fosse quello locale per un’organizzazione di piccole dimensioni, o grandi imprese, come nel caso di organizzazioni nonprofit di rilievo nazionale, la regola aurea è sempre la medesima: non improvvisare, selezionare, fare un percorso.

Le imprese poi si possono cercare per due differenti modalità di contribuzione, da un lato la donazione, dall’altro anche la sponsorizzazione che però, lo ricordiamo, per molte organizzazioni nonprofit pone problemi sul piano fiscale per il profilo della commercialità. Attenzione quindi a distinguere e ad essere chiari con l’impresa, fin dall’inizio, su ciò che potete e su ciò che non potete fare. Le imprese sanno senz’altro quali sono poi i benefici fiscali dell’erogazione che vi faranno, date comunque loro le informazioni a riguardo, fate sapere che voi sapete e avete quindi un’organizzazione aggiornata anche da un punto di vista della gestione amministrativa delle donazioni.

Presentatevi quindi con una strategia, con chiara in testa cioè la modalità di coinvolgimento dell’impresa nel vostro progetto. Anche nel caso dell’impresa non si tratta solo di erogare una somma sul vostro conto corrente. L’impresa dovrà essere in grado di valutare a cosa sta associando il proprio marchio e dunque la propria immagine aziendale (quello anche voi!), quali sono i vantaggi (non solo quelli fiscali) che otterrà dalla sponsorizzazione o dalla donazione, quindi anzitutto i benefici di immagine e reputazione. Cosa offrite da questo punto di vista all’impresa? Come vi presentate all’impresa per raccontare il vostro progetto, il ruolo di partnership che chiedete?

Due aspetti ci sembrano importanti da questo punto di vista: da un lato chiedete, dall’altro siate aperti anche alle proposte che vi potrà fare l’impresa. Chiedere è l’arte del fundraising. Illustrate bene il progetto, presentate la vostra organizzazione adeguatamente, individuate modalità, soggetti e canali giusti per interloquire con l’impresa. Ma poi chiedete, siate in questo molto chiari nella richiesta, non fate l’errore di elemosinare un qualsiasi contributo. Voi avete in mente esattamente la cifra che vi è necessaria proprio da quell’impresa. Dall’altro siate aperti alle proposte, anche ad idee alternative o che si integrano al vostro progetto, specie dal punto di vista della comunicazione e della promozione. L’impresa ha sicuramente una sua modalità e sue strategie di comunicazione della propria immagine. Da questo punto di vista ha esigenze specifiche di rendere armonica la comunicazione associata alla partecipazione al vostro progetto con il suo stile. Non resta che provare!

Peopleraising, quello sconosciuto!

People che cosa? Si, peopleraising, letteralmente ricerca, raccolta di persone. E’, lo sappiamo in realtà, l’insieme di strategie, programmi ed azioni che, nell’ambito dell’organizzazione di volontariato e nonprofit in genere, è diretta a strutturare la ricerca e l’accoglienza di nuovi volontari e la loro gestione nel tempo. Detto in questi termini, molti vantano di svolgere questa attività “naturalmente”, come un’attività che va di pari passo e senza comportare molti sforzi, con le attività operative e i progetti associativi.

Molti però evidenziano carenza di volontari, la difficoltà di mantenerli nel tempo. Le ricerche sociologiche, vedi ad esempio le indagini condotte dal prof. Salvini del Dipartimento dell’Università di Pisa per CESVOT (www.cesvot.it) mettono in evidenza uno scenario di trasformazione nel tempo all’interno del mondo del volontariato, con comportamenti anche inediti dei volontari, una maggiore frammentazione delle organizzazioni e una più elevata mobilità dei volontari che hanno esperienze anche multiple di volontariato così come passaggi da un’associazione ad un’altra. In un contesto che cambia, devono adattarsi quindi anche le modalità di ricerca, accoglienza e cura dei volontari.

Uno degli aspetti che stanno emergendo come innovativi, è l’applicazione di strategie di rete anche nell’ambito del peopleraising, proprio per intercettare un target divolontariato tendenzialmente più “nomade”, di carattere maggiormente esperienziale più che fortemente connotato da un punto di vista identitario.

La “rete” nel volontariato – è di recente pubblicazione un lavoro che abbiamo curato per CESVOT insieme col prof. Salvini sul “Fare rete” con quindici step pratici per costruire e sviluppare reti nel volontairato -, è una strategia che pare essere particolarmente adatta anche a generare nuovo impulso nella partecipazione volontaria, attraverso scambi, iniziative congiunte, mobilitazioni di volontari per specifici eventi o campagne ecc.

Questo tipo di approccio, peraltro già sperimentato anche in passato da organizzazioni nonprofit di carattere nazionale (es. della ricerca medica, per l’assistenza a malati terminali ecc.) laddove si sono rivolte ad organizzazioni locali per la gestione di campagne di raccolta fondi a livello territoriale attraverso la mobilitazione e il coinvolgimento di volontari “prestati” alla causa della campagna, può essere vincente anche ad esempio in contesti nei quali non esiste un gruppo volontari proprio. Prendiamo il caso di molte fondazioni che gestiscono servizi, spesso anche attraverso imprese sociali, o che devono svolgere campagne di sensibilizzazione diffusa sul territorio o, ancora iniziative di raccolta fondi. Anziché accedere alla pratica del face to face con “professionisti”, può essere una buona soluzione andare a costruire una rete sul territorio, attraverso un coinvolgimento diretto di associazioni e volontari, così come di gruppi informali. Noi lo stiamo realizzando appunto per una Fondazione, scoprendo che la dimensione della rete, sta andando così a rappresentare un asset strategico, senza il quale non sarebbe immaginabile un’azione di fundraising territoriale.

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Un piano editoriale per Facebook? Tre suggerimenti essenziali

Quando parliamo di pianificazione, specie se il ragionamento cade sulle attività di comunicazione e, in particolare, sulla gestione dei social network, il rischio di essere visti come marziani è elevato!

Talora, infatti, sembra un’esagerazione persino inutile, l’immaginare un piano dettagliato di contenuti e di “uscite” con un’articolazione addirittura specificata per giorni ed orari. Uno degli aspetti che quasi ossessivamente andiamo a ripetere ai nostri clienti, è che avere una pagina facebook (una pagina, mi raccomando, non un profilo!), non è obbligo, così come non è necessariamente efficace “stare” sui social, da Twitter, a Linkedin o altri ancora. L’utilizzo dei social network è divenuta oramai pratica non solo diffusa, ma esperienza personale quotidiana e in certo senso continua. Basta pensare il tempo medio (oltre due ore e mezza al giorno) che noi italiani passiamo sui social… Detto questo, la riflessione che proponiamo ai nostri interlocutori è che è una falsificazione che Facebook e gli altri social sono gratuiti, sono invece ad alto consumo di tempo! La risorsa più preziosa che abbiamo viene drenata ampiamente da una pratica che, senza essere messa sotto il controllo di un’azione di pianificazione, monitoraggio e valutazione, rischia di generare solo perdite (anche economiche, visto che il tempo volontario o lavorativo che sia ha comunque un costo) e non produrre i risultati sperati.

Ciascun social network ha una sua caratterizzazione specifica, da Facebook, il più diffuso e “chiaccherone” a Twitter, immediato, centrato su messaggi sintetici e ad effetto, a Linkedin, più professionale. Ciò denota che ciascuno di questi canali, sebbene sia possibile tra loro impostare anche dei collegamenti automatici, ha un proprio pubblico di riferimento, propri linguaggi, propri stili comunicativi. Sbagliato quindi impostare automatismi (almeno in senso assoluto), sbagliato peraltro (o quantomeno non certo indispensabile) aprire profili, pagine ed account per tutti i social. Meglio scegliere quello o quelli che più si adattano per tipologia di pubblico e caratteristiche alla comunicazione e alla promozione che vogliamo svolgere. Testando. Cioè, facendo test di efficacia nel tempo e verificando quali canali, meglio di altri, possono essere utilmente cavalcati.

In questo senso, la pianificazione anche dei contenuti dei social (dopo la loro progettazione creativa, ovviamente), è un altro elemento essenziale di questo processo. Non lasciare al caso la pubblicazione di un post o di un tweet, ma gestirla secondo una programmazione (calendarizzazione) magari centrata sugli insight (statistiche delle performance della pagina/account), in base allo sviluppo dello storytelling, in base – ancora – allo sviluppo che alla campagna di comunicazione/promozionale/fundraising si vuole dare.
Ciò non vale unicamente per i social network, ma anche per altri contenuti digitali (e non solo), dalla newsletter, all’aggiornamento del blog, alla produzione di articoli per il sito web ecc. Come fare? Ecco tre suggerimenti essenziali:

  1. Comincia a guardare statistiche (analytics, insight) e impara a ricavare conoscenze su parole chiave, temi che generano maggiore interesse o interazione, giorni ed orari nei quali i tuoi post vengono maggiormente visualizzati ecc. In base a questa base di conoscenza (sempre in aggiornamento!) produci i tuoi contenuti creativi e adattali ai diversi canali (es. newsletter, facebook, blog, twitter…)
  2. Fa’ un cronodiagramma delle pubblicazioni. Anche questo sapendo che non su tutti i canali il tempo medio di “vita” dei tuoi contenuti sarà lo stesso, mediamente un paio d’ore su facebook, tendenzialmente almeno una settimana per la newsletter ecc. Da questo cominci a vedere quanto sia impegnativa la gestione dei contenuti di comunicazione e promozione della tua campagna e di quanto tempo occorra per gestirla efficacemente.
  3. Utilizza tools (strumenti, attrezzi) che ti aiutino a pianificare. Ad es. facebook ha già al proprio interno una funzionalità che permette la calendarizzazione posticipata dei post da pubblicare, così come ci sono numerose applicazioni che consentono di fare la stessa cosa per altri social network, piuttosto che strumenti di invio massivo di email (es. mailchimp) che consentono la programmazione delle uscite a certi orari in dati giorni. Questa attività permette di concentrare il tempo dedicato alla redazione e impostazione della pubblicazione sui social, al momento in cui è possibile, dedicandosi invece più all’interazione durante lo svolgimento della campagna.

Natale? Quando arriva, arriva..

Un celebre claim pubblicitario di un panettone natalizio di qualche anno fa, ci dà lo spunto per parlare della campagna di raccolta fondi più importante dell’anno, quella su cui le organizzazioni nonprofit confidano, talora anche eccessivamente (potrebbe obiettare qualcuno), affidando ad essa un ruolo non solo determinante, ma talora essenziale per il reperimento delle risorse necessarie alle attività.

Giusto o sbagliato che sia (in parte è giusto, intendiamoci – da sempre il Natale sollecita moti solidaristici maggiori che in altri momenti dell’anno o in altre circostanze -, in parte, invece, potrebbero e dovrebbero essere elaborate strategie durante tutto il corso dell’anno), resta il fatto della sua rilevanza e della centralità nelle strategie di fundraising. Per questo ne parliamo per tempo, andando per così dire a trovare Babbo Natale ancora rilassato in spiaggia o appena rientrato dalle ferie! La vostra organizzazione non ha ancora pianificato nulla per la prossima campagna natalizia? Ci penserete a novembre perché ora è troppo presto? Non avete mai pensato che fosse necessario partire con largo anticipo?

Non ci crederete, ma in molti casi le grandi organizzazioni nonprofit sono già in moto da tempo per ideare e progettare adeguatamente le proprie campagne e organizzare la “macchina natalizia” del fundraising. Certamente ogni organizzazione deve considerare i propri processi interni, le proprie dimensioni e ritarare tutto – anche le cose che diciamo – su di sé. Certamente però, una cosa senz’altro vale per tutti, partire per tempo, diciamo nel mese di settembre, a ideare e pianificare quanto si vorrà realizzare tra fine novembre e dicembre, è quanto mai opportuno. Pensate infatti solo ai tempi tipografici se vorrete realizzare prodotti di comunicazione… generalmente le tipografie già a novembre sono abbastanza ingolfate di lavoro in vista della fine dell’anno. Altra cosa è se vorrete realizzare un video, da preparare quindi con più largo anticipo, o se vorrete organizzare il gruppo di volontari per fare un face to face o il banchetto ai mercatini di Natale. Ancora di più se volete abbinare alle classiche strategie di raccolta fondi anche strategie digitali, con campagne combinate di email marketing, sms marketing, campagne pay per clic, realizzazione del minisito ecc. Sarà tardi, non lamentatevi se poi i risultati saranno deludenti o sotto le aspettative.

La donazione diventa APP

Le APP per smartphone oramai soddisfano qualunque tipo di bisogno quotidiano: possiamo usarle per divertimento, per comunicare con amici vicini e lontani, possiamo utilizzarle per fare operazioni sul nostro conto corrente..e perhé non utilizzarle anche per donare a favore di progetti di solidarietà e associazioni?

Ecco che per una sorta di “crowdfunding mobile” nasce “Hug – Tap to Donate“, una app per Android e iPhone attraverso la quale è possibile effettuare la propria donazione a favore dei progetti presentati. Il funzionamento è molto semplice: una volta installata sul proprio smartphone è richiesta una registrazione (ma l’accesso può essere fatto anche tramite account Facebook o Google+), a questo punto non resta che scorrere la lista dei progetti da finanziare, sceglierne uno e cliccare sul bottone “Dona“: la donazione minima è di 5€ ed è possibile effettuarla tramite carta di credito o Paypal.
I soldi verranno accereditati direttamente sul conto corrente della Onlus prescelta, saranno vincolati solo alla realizzazione del progetto e il donatore sarà aggiornato tramite email sulla realizzazione del progetto: gli ostacoli classici alla donazione (poco tempo, poca trasparenza, poca informazione) saranno così quasi completamente eliminati.

Bene..gli strumenti ci sono, ma da soli non bastano: così come avviene per il fundraising e il crowdfunding più classico, la APP da sola non porta donazioni se non suppportata da la giusta comunicazione. Come sfruttare quindi questa nuova opportunità che arriva dal mondo mobile?
Come prima cosa deve essere pensato un progetto che possa attrarre l’attenzione dei donatori e soprattutto che sia realizzabile. Essendo ancora una APP in fase di lancio potrebbe aver senzo un progetto che non richieda finanziamenti eccessivi per essere portato a compimento.
Il secondo passaggio è senza dubbio quella della promozione tramite verso i propri donatori (acquisiti o potenziali) tramite i canali di comunicazione digitali (pagine Social e sito web in primis) inserendo anche il link per il download diretto dell’applicazione: non dimentichiamo che il traffico web si sta spostanto sempre più su dispositivi mobile e il link alla APP eviterebbe a moltissimi utenti il passaggio inutile e pericoloso (in termini di numero di conversioni perse) di uscire da sito e doversi ricordare di effettuare il download in un secondo momento! Da non dimenticare che se la sede è frequentata da molti soci o persone esterne all’associazione la promozione può essere fatta in un’eventuale sala d’attesa o sala comune.

Ultimo consiglio che diamo, anche se apparentemente fuori stagione, è quello di utilizzare la nuova APP per un progetto durante il periodo Natalizio: progettazione, pianificazione, studio degli strumenti di comunicazione e promozione sono processi che richiedono tempo, sempre meglio anticipare i tempi per non farsi trovare impreparati.

E te hai già pensato a come sfruttare “HUG – Tap to donate”?

Costruisci il gruppo di lavoro e fai un fundraising di successo!

La costruzione del gruppo di lavoro, l’avvio di un percorso di consulenza di direzione nell’area fundraising per una ONP (Organizzazione Non Profit), specie in un momento di ripresa delle attività come è il mese di settembre, rappresentano una fase molto delicata. Il rapporto tra dirigenti della ONP e consulenti, parte appunto da questo step di lavoro, a meno che non siano richiesti specifici servizi in modo occasionale. C’è dunque un lavoro di impostazione da svolgere che non tutti affrontano nello stesso modo e, a dire il vero, non ha una regola valida per tutte le situazioni.

Recentemente ci sono capitati tre percorsi consulenziali di periodo da avviare con tre differenti organizzazioni, due fondazioni e una cooperativa sociale di grandi dimensioni, attività che stiamo appunto approcciando. Tre casi diversi che raccontiamo volentieri mettendo così a disposizione un’esperienza concreta diretta per chi voglia cimentarsi in un percorso di consulenza strategica.

Il primo esempio si riferisce ad una fondazione che si occupa di studi, formazione e progetti di intervento nell’ambito della marginalità estrema e del disagio. Una fondazione che si è affidata alla consulenza di Myfundraising in una fase di emergenza dal punto di vista della raccolta fondi, trovandosi cioè in una situazione piuttosto preoccupante rispetto alle risorse disponibili per lo svolgimento delle attività e non avendo sostanzialmente mai intrapreso alcun percorso di fundraising strutturato. In questo caso il livello dei decisori e del coordinamento generale, sono stati coinvolti anzitutto in un percorso di condivisione. Primo punto è infatti condividere uno stile operativo e tracciare – insieme – alcuni punti essenziali del percorso: ad esempio, l’intendere il fundraising come un processo da svolgersi nel tempo, come funzione stabile dell’organizzazione, piuttosto che come organizzazione di un evento specifico di raccolta. O ancora, il fatto di dover pianificare e verificare in base ai risultati raggiunti per stabilire strategie e modificare modalità e strumenti adottati. Il passo successivo che faremo nelle prossime settimane è di scendere sul piano operativo, intanto però è stato essenziale condividere l’approccio strategico.

La seconda esperienza prende origine da una consulenza ad un’altra fondazione che si occupa di servizi alla disabilità, nella quale la dirigenza (CdA) ha già bene in mente la centralità del fundraising, l’opportunità di avvalersi di una consulenza tecnica e di investire anche in attività promozionali connesse, in pubblicità e strumenti di comunicazione adeguati alle diverse strategie adottate. Qui l’esperienza di costituzione del gruppo di lavoro passa soprattutto nell’affiancamento delle figure tecniche che internamente sono state individuate per presidiare tanto la parte gestionale ed organizzativa, tanto quella dei servizi operativi. Affiancamento significa far crescere le risorse interne nella competenza su tutte le fasi di realizzazione del processo di fundraising. Lo stile consulenziale che adottiamo tende infatti a non sostituirsi alle risorse che internamente possono crescere.

Il terzo esempio di costruzione del gruppo di lavoro è attinente ad un percorso maggiormente centrato sulla comunicazione interna ed esterna, con l’obiettivo di costruire una funzione dedicata capace di svolgere anzitutto un ruolo di “regia”. In un’organizzazione come quella che stiamo seguendo, con oltre venti tra strutture e servizi alla persona, circa duecento dipendenti e una diffusione territoriale di rilievo zonale, le dinamiche di comunicazione/promozione sono evidentemente molteplici e per certi aspetti anche complesse. Ad una responsabilità “politica”, l’obiettivo è quindi quello di affiancare una competenza tecnica che vada oltre una semplice funzione di “addetto stampa”, per andare a costituire un vero e proprio “ufficio comunicazione”, valorizzando competenze interne già presenti, lavorando su una competenza diffusa ai diversi livelli organizzativi della cooperativa, promuovendo infine uno stile di lavoro fondato maggiormente sulla progettazione della comunicazione, prima che diretto alla produzione di singoli strumenti e prodotti comunicativi.

È chiaro, no? Il gruppo di lavoro, tanto a livello politico-direttivo, quanto sul piano tecnico-operativo, diventa centrale per impostare adeguatamente un lavoro di periodo che forma “struttura” all’organizzazione, che la fa crescere e potenzia e valorizza competenze, orientandole ad un disegno armonico. Se vuoi un consiglio su come organizzare il gruppo di lavoro, contattaci ora!

5 “Grazie” per i tuoi donatori

Come abbiamo sempre detto la parte più importante della raccolta fondi è la creazione di una relazione con i propri donatori. La creazione di questo rapporto passa anche dal ringraziamento che riserviamo a chi sostiene le nostre cause. Ma attenzione: non basta il semplice “grazie” una volta l’anno o, peggio, una tantum. Maggiore è il contatto e le informazioni che passiamo ai donatori, maggiore sarà la loro soddisfazione e propensione a donare nuovamente.

Vediamo qua di seguito 5 possibili “Grazie” che possiamo utilizzare per coinvolgere i donatori:

Il muro dei donatori

Inserisci sul tuo sito web e nella sala principale della tua associazione uno spazio dedicato ai donatori, in cui poter ringraziare pubblicamente tutti coloro che hanno sostenuto la tua causa. Forse alcuni vorranno mantenere l’anonimato, ma per tutti gli altri non c’è niente di più gratificante del vedere il proprio nome ben visibile nella lista dei ringraziamenti.

“Grazie” multimediale

“Un’immagine vale più di mille parole”. Lo stesso possiamo dire per i video o la musica. E se immagini, video e musica venissero messi tutti insieme per poter “regalare” un grazie carico di emozione a tutti i donatori? Ovviamente dovranno essere utilizzate persone reali, volontari, assistiti, beneficiari delle donazioni e non attori professionisti.

Fornisci esperienze

Spesso crediamo che il ringraziamento sia solo una mail o comunque qualcosa di non “tangibile”.. e perché non pensare ad un ringraziamento che posso far fare un’esperienza al donatore? Possono essere pensate esperienze dirette all’interno dell’associazione o ad attività o eventi collegati. Un’esperienza diretta segnerà in maniera indelebile il donatore, molto più di mille parole (o di un video!)

Racconta la tua storia

Questo tipo di ringraziamento segue direttamente la storia che è stata raccontata al donatore per spingerlo a sostenere la tua causa. Raccontare cosa è stato possibile realizzare grazie alle donazioni ricevute, lo stato dell’arte del progetto, raccontare la storia di chi ha beneficiato dirattamente della donazione.. queste sono solo alcune storie che possono essere raccontate ai benefattori, un modo di riempire il loro cuore di gioia e creare fiducia nei confronti dell’associazione: “noi non siamo tipi da prendi i soldi e scappa, ma ti raccontiamo cosa facciamo grazie a te!”

Aggiorna il tuo database!

Non c’è cosa peggiore che dimenticare il nome di un donatore o sbagliare a scriverlo! Presta molta attenzione all’aggiornamento del database dei donatori da ringraziare.

E tu, ringrazi sempre i tuoi donatori?

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